03-04-2012 Tribunale di Verona

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Primo orientamento dei giudici del Tribunale di Verona sulle principali questioni processuali relative al D.lvo 28/2010

A partire dal 20 marzo 2001 sono entrate in vigore (con esclusione delle controversie in materia di condominio e di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti) le disposizioni sulla “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” prevista quale condizione di procedibilità dal d.lgs. 4 marzo 2010,n. 28.
Il 30 marzo 2011 i giudici del Tribunale civile di Verona si sono riuniti per elaborare un primo e provvisorio orientamento sulle principali questioni poste, in rapporto al processo, dall’entrata in vigore della legge in questione.
Dalla riunione – messi da parte per ragioni operative le critiche ed i dubbi, anche di costituzionalità, che sono stati e potrebbero essere sollevati riguardo alla legge – sono emerse le indicazioni che seguono.
Con riferimento all’art. 5, si ritiene che la mancata presentazione della domanda di mediazione entro il termine fissato dal giudice determini l’improcedibilità dell’azione giudiziale.
E’ apparsa invece prevalente (pur essendo stati manifestati dubbi in contrario) che tale conseguenza non si produca nel caso il cui il procedimento di mediazione sia stato attivato, sia pure oltre il termine fissato dal giudice.
Se all’udienza fissata dal giudice ai sensi dell’art. 5 il procedimento di mediazione non si sia ancora concluso, non sembrano ammissibili rinvii della causa avanti al giudice poiché la mancata conclusione del procedimento di mediazione entro il termine previsto fa venir meno il motivo di improcedibilità.
Se all’udienza fissata dal giudice nessuna delle parti compaia, verrà disposto un rinvio ai sensi dell’art. 309 c.p.c.
Si ritiene, poi, che il termine per l’inizio del procedimento di mediazione debba essere assegnato solo con riguardo alla domanda introduttiva del giudizio, e non anche con riguardo a domande successive ( domande riconvenzionali da parte del convenuto,”reconventio reconventionis” da parte dell’attore, domanda proposta dal terzo chiamato in causa, dall’interveniente volontario principale o consortile e nei casi di integrazione del contradittorio per litisconsorzio necessario), sia perché a tali eventualità non è contenuto alcun riferimento nella legge, sia perché la conclusione opposta esporre4bbe rischierebbe di vulnerare il principio della ragionevole durata del processo.
Il giudice, nel fissare il termine ex art. 5, non può dare indicazioni sull’organismo di mediazione cui rivolgersi
Vi è invece contrasto di vedute circa l’ampiezza da attribuire all’ambito delle controversie soggette a mediazione obbligatoria, da alcuni ritenendosi, ad esempio, che l’espressione “controversia in materia di diritti reali” sia idonea a ricomprendere anche le cause aventi ad oggetto contratti traslativi di tali diritti, ovvero domande aventi ad oggetto la nullità, l’annullamento o la risoluzione di tali contratti; da altri, più restrittivamente (ed argomentando dal carattere eccezionale delle condizioni di procedibilità e dei limiti sia pur temporanei che ne derivano all’azione giudiziaria) che essa si riferisca alle sole controversie relative ai diritti di proprietà, servitù, usufrutto etc. (art. 948 e segg. cod. civ.).
In proposito si è osservato che codice di rito civile, in specie all’art. 21, utilizza la locuzione con riferimento alle controversie concernenti l’accertamento di un diritto reale, dei modi di costituzione dello stesso o delle posizioni soggettive che direttamente ne derivano, restando estranee azioni a natura personale e non reale, quali quelle contrattuali.
Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile (art. 8, primo comma legge istitutiva).
Solo l’esperienza concreta aiuterà ad identificare i limiti ed il contenuto della previsione. Nella riunione si è ritenuto che la constatata inconciliabilità della lite (emergente, ad esempio, dall’infruttuoso scambio di corrispondenza, di riunioni o di incontri tra i legali) rientri tra i giustificati motivi che precludono al giudice di desumere argomenti di prova dalla mancata partecipazione al procedimento di mediazione.
L’accordo amichevole raggiunto in sede di mediazione può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento (art. 11, terzo comma della legge istitutiva)
Si reputa necessario – anche ai fini dell’omologazione – che la somma di denaro da pagare sia quantificata nell’accordo. E’ dubbia, a causa della sua indeterminatezza, la previsione nell’accordo di un minimo e di un massimo, a meno che non siano indicati dei criteri idonei a consentirne un’agevole determinazione.
Con riferimento al provvedimento di omologa previsto dall’art. 12, si ritiene che il relativo procedimento non richieda il contraddittorio e sia inquadrabile nell’ambito dei procedimenti unilaterali in camera di consiglio.
Il controllo del presidente del Tribunale è non soltanto di natura formale, ma anche un controllo di legalità sostanziale, con la conseguenza che l’omologazione dovrà essere negata non solo quando difetti, ad esempio, il requisito della sottoscrizione delle parti e del mediatore, ma anche quando sia stato raggiunto in materie e in casi diversi da quelli contemplati dalla legge, ovvero quando incida su diritti indisponibili o contrasti con l’ordine pubblico etc.
Il provvedimento che nega l’omologazione è suscettibile di reclamo ai sensi dell’art. 737 c.p.c.
Con riferimento alla tortuosa disposizione sulle spese (art.13), si ritiene che il mancato richiamo all’art. 91 c.p.c. si giustifichi con il fatto che il giudice non disporrebbe di elementi per valutare la sussistenza del giustificato motivo di rifiuto della proposta conciliativa, stante il divieto di utilizzazione delle dichiarazioni rese dalle parti nel procedimento di mediazione. Il richiamo agli artt. 92 e 96 c.p.c contenuto nella norma consente però di valutare il comportamento processuale tenuto dalle parti nel giudizio conseguente alla fase di mediazione a prescindere dall’atteggiamento che esse abbiano assunto rispetto alla proposta conciliativa.
Poiché la norma di cui all’art. 24 d.lgs. n. 28/2010 (“le disposizioni di cui all’articolo 5, comma 1, acquistano efficacia decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e si applicano ai processi successivamente iniziati”) è riferita unicamente all’art. 5, primo comma, si ritiene che siano applicabili anche ai processi iniziati anteriormente le disposizioni dell’art. 5, secondo comma, in base al quale ” il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può invitare le stesse a procedere alla mediazione. L’invito deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Se le parti aderiscono all’invito, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è già
stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
La norma può costituire un importante momento di raccordo tra processo e mediazione, sia con riguardo alla possibilità di superamento del conflitto senza necessità di arrivare alla sentenza, sia per i riflessi che possono derivarne sotto il profilodell’organizzazione complessiva del lavoro giudiziario.
Nella riunione è prevalso tuttavia un atteggiamento di almeno iniziale prudenza, anche perché non è ancora chiaro il quadro degli organismi di mediazione e la stessa sorte della legge è stata messa in discussione dalla recente rimessione alla Corte da parte del TAR del Lazio.

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