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Mediazione e Palazzo Spada: verità, dogmi e bufale nel Carnevale 2014

Articolo 28.02.2014 (Andrea Sirotti Gaudenzi)

Quanti hanno dimestichezza con gli studi storici sanno bene che chi dovesse parlare di «verità assolute» rischierebbe di commettere un’eresia. Così come è chiaro che labile appare il confine tra verità e menzogna, spesso al centro di dibattiti filosofici che implicano anche (e soprattutto) il concetto di libertà di espressione.

Ben altra cosa è parlare di «dogmi», fatti traghettare dalla percezione comune nel senso attuale, lungo una evoluzione dall’autentico significato dato dalla filosofia greca sino a quello imposto dalla necessità di certezze della fede religiosa.

Un approccio pessimistico alla visione della storia era quello stalinista, in cui la scarsa propensione per la diffusione delle informazioni trovava la propria giustificazione nella necessità di mantenere poche e solide certezze, non necessariamente coincidenti con dati condivisibili (e, di solito, ben distanti dalla percezione del vero). «La menzogna diventa verità e passa alla storia»: così scriveva George Orwell nella sua più celebre opera, «1984», teorizzando i rischi di una informazione piegata alle esigenze del potere.

Ma oltre alle menzogne, esistono le «bufale», nate come qualcosa di molto meno grave delle verità «alternative» diffuse dai potenti del pianeta.

Sembra che l’espressione «bufala», almeno secondo la ricostruzione fatta dall’Accademia della Crusca, debba essere fatta risalire a giostre carnascialesche che si tenevano in Toscana, nel corso delle quali i simpatici bovini venivano fatti gareggiare davanti ad un festoso pubblico dedito a scherzi. Il gusto della «bufala» ha subìto varie evoluzioni proprio in terra di Toscana, sino a dar vita a quella burla lessicale che veniva definita nelle pellicole del ciclo «Amici Miei» come «supercazzola» (o, rectius, secondo i puristi della storia del cinema, «supercazzora», espressione effettivamente utilizzata da Tognazzi nei film diretti da Monicelli).

Chi abbia letto il Decamerone si sarà accorto che la tecnica veniva già utilizzata da Boccaccio, con esiti decisamente esilaranti.

Ed una vera e propria «bufala» fu quella dei falsi di Modigliani, che sarebbero passati a noi come opere dell’immortale artista livornese, se i burloni che si eran presi beffe di tanti critici d’arte non avessero svelato la realtà.

Una beffa, quindi, sembra essere quella di tanti siti web giuridici ed organi di informazione per addetti ai lavori, che stanno continuando a dare la notizia del provvedimento depositato il 12 febbraio 2014, con cui il Consiglio di Stato avrebbe sospeso la disciplina della mediazione obbligatoria.

Una vera e propria beffa, riconosciamolo… Perché non si può pensare che esistano laureati in giurisprudenza che possano seriamente ritenere che il Consiglio di Stato abbia il potere di sospendere una legge dello stato. E perché non è in alcun modo credibile che giuristi abilitati alla professione forense, dopo un complesso ciclo di studi e di frequentazione delle aule giudiziarie, possano realmente ignorare quale sia il significato di un provvedimento con cui il Consiglio di Stato ordini al TAR la sollecita fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 55, comma 10, del codice di procedura amministrativa. E neppure si può immaginare che –nel diffondere la notizia- illustri commentatori non abbiano analizzato con cura l’oggetto della questione sottoposta all’attenzione dei Giudici di Palazzo Spada, che –naturalmente- non avrebbe potuto riguardare il d.lgs. n. 28/2010, ma solo alcuni aspetti del d.m. 180/2010, aventi ad oggetto i criteri e le modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonchè l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi.

Una burla di carnevale, quindi, quella che sta attraversando il web giuridico, che, però, come a volte si verifica, può ingannare i meno attenti. Un po’ come accadeva al povero guardiano del cimitero di Firenze, la cui vigilanza veniva aggirata da Tognazzi, nei panni del conte Mascetti, grazie ad una raffica di parole incomprensibili, che si concludevano con l’espressione rivelatrice «fuochi fatui». Ma quello era un film (il secondo del ciclo). Oggi c’è il rischio che una «bufala» diventi il segno dei tempi, screditando una intera categoria e danneggiando quanti stanno cercando l’affermazione di un modello culturale alternativo per la gestione del conflitto, pur con i limiti di una disciplina che non è frutto della migliore tecnica normativa.

«Fuochi fatui», quindi? Può darsi, ma rimane fermo l’auspicio che non si dia luogo anche a quel processo di decomposizione organica che, secondo i chimici, origina le misteriose fiammelle. Non ne abbiamo bisogno, almeno per ora.

(Altalex, 28 febbraio 2014. Articolo di Andrea Sirotti Gaudenzi)

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