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Si gioca tra Governo e Parlamento la battaglia per conservare una fiammella di vita alla conciliazione. Stroncata una settimana fa dalla Corte costituzionale in una sentenza di cui si attende il deposito delle motivazioni, la mediazione obbligatoria rispunta negli emendamenti al decreto legge sviluppo. L’obiettivo è quello di confermare l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione attraverso lo strumento della condizione di procedibilità, fissando però, diversamente da quanto previsto dalla disciplina censurata dalla Consulta, un limite temporale per verificarne sul campo l’effettivo decollo. Così, nell’emendamento presentato da Stefano De Lillo (Pdl) si stabilisce un identico perimetro di applicabilità (le materie sono le stesse) ma una scadenza a fine 2017 dell’orizzonte temporale.

Ma a muoversi sono anche gli enti di conciliazione, che in una lettera indirizzata al ministro della Giustizia Paola Severino e che in poche ore sul web ha totalizzato oltre 500 adesioni chiedono un nuovo intervento legislativo che reintroduca il meccanismo della condizione di procedibilità. Un intervento che dovrebbe però prevedere contestualmente un ruolo per l’avvocato, la cui presenza nel corso del procedimento permette alle parti di prendere con maggiore consapevolezza decisioni che possono avere effetti sull’eventuale giudizio successivo.
Gli enti però mettono l’accento anche su alcuni dati che testimoniano la necessità di non affondare definitivamente un’esperienza che stava cominciando a fornire i primi risultati. Il 77% delle mediazioni avviate da marzo 2011 è frutto della condizione di procedibilità, mentre la parte restante è di gran lunga superiore al totale delle mediazioni volontarie prima di quella data, a prova dell’effetto traino.
Gli accordi raggiunti sarebbero infatti, sottolinea la lettera, circa 24mila, pari a circa il 50% di quelli in cui le parti si siedono a un tavolo insieme con il mediatore. Un tasso di successo che fa da volano in termini di risparmio: ogni mediazione conclusa in media in una cinquantina di giorni evita di fatto un processo che nel solo primo grado dura in media oltre 1.000 giorni. Risparmio di 950 giorni quindi, a fronte di un aggravio, in caso di mancato accordo, di soli 50 giorni.
Insomma, il gioco vale la candela. Tenuto conto che, in termini di costi, un recente studio Unioncamere indica in oltre 480 milioni i risparmi che possono essere attribuiti alla mediazione dal settembre 2011 al settembre 2012.

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