L’Altra pagina, TAR Lazio

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TAR Lazio: La mediazione obbligatoria è costituzionale e a tariffazione (quasi) libera

(di Carlo Recchia) – E’ davvero un paradosso da Guinness dei primati quello della mediazione civile e commerciale in Italia, che introdotta per cercare di alleggerire i carichi giudiziari e disciplinare un metodo alternativo di risoluzioni delle controversie, da cinque anni si ritrova invece subissata da ricorsi, coinvolta in plurimi contenziosi, e letteralmente appesa alle decisioni di vari organi giurisdizionali.

Per uno strumento (anche) deflattivo, che nasce proprio per risolvere il conflitto al di fuori del processo statale, è quanto meno stravagante che la legge introduttiva sia di contro coinvolta in un numero di procedimenti dei quali non si vede la fine ( ad ulteriore riprova, chi scrive, il 28 gennaio sarà dinanzi al TAR con i colleghi Avvocati Paolo Fortunato Cuzzola e Antonio Gargiulo per un altro ricorso, con il quale è stato impugnato il nuovo decreto ministeriale sulla mediazione per altri profili).

In ogni modo, un fondamentale e nuovo capitolo sulla legittimità della normativa in materia di mediazione civile è stato scritto dal Tar LAZIO con la sentenza depositata il 23 gennaio 2015 ( n° 01351/2015), nel procedimento n° 11235/2010,   proposto dall’Unione Nazionale delle Camere Civili, dunque un ricorso proposto prima delle modifiche al D.lgs. 28/2010 e al D.M. 180/2010 introdotte dal “decreto del fare”, ed arrivato però a decisione definiva dopo cinque anni, grazie alla notoria speditezza dei procedimenti in Italia.

Le decisioni e le cause dinanzi al Giudice amministrativo sono solitamente piuttosto tecniche e di difficile lettura, per i meno avvezzi alla materia cercherò di essere il più chiaro e scorrevole possibile nell’esaminare le motivazioni e nell’illustrare le loro implicazioni pratiche, come a me risultano evidenti da una prima, seppur approfondita, lettura.

I motivi di impugnazione proposti dall’Unione Camere Civili, mi sia consentito, sono un vero e proprio classico, almeno per i cultori della materia, giacchè venivano riproposte sostanzialmente censure già sollevate altre volte in ulteriori procedimenti,  e nel concreto si contestava : l’illegittimità costituzionale della condizione di procedibilità prevista dagli allora vigenti artt. 5 e 17 legge mediazione ( D.lgs. 28/2010), perché in violazione della legge delega presupposta, la violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione perché, sempre la previgente disciplina, non prevedeva l’obbligatoria assistenza degli avvocati, infine si contestava l’effettivo requisito di dell’indipendenza degli organismi, laddove il decreto legislativo si limitava a prescriverlo solo per lo svolgimento della mediazione.

Come accennato, con il D.L. 69/2013 “ del fare”, poi convertito con modificazioni, il legislatore aveva riscritto in larga parte la legge sulla mediazione, per cui le censure perdevano, quanto meno, di attualità ( soprattutto se consideriamo, ad esempio, che con la nuova disciplina l’assistenza tecnica dell’avvocato nelle mediazioni ora è obbligatoria), ma il rito processuale consentiva e consente di presentare motivi aggiunti, e pertanto, preso atto del sopravvenire di una nuova legge l’Unione Camere Civili contestata altresì, l’incompatibilità dello strumento della decretazione di urgenza con cui si era introdotta la cosiddetta mediazione 2.0, per carenza dei requisiti di straordinarietà ed urgenza, eccepiva l’incostituzionalità della nuova formulazione dell’art. 5 anche laddove concedeva al Giudice di primo grado e di appello di imporre il procedimento di mediazione a pena di improcedibilità, l’art. 13 ove si prevedono sanzioni processuali eventuali in caso di rifiuto della proposta, ed infine si passava a censurare anche il decreto ministeriale applicativo.

Nello specifico i ricorrenti ritenevano che le disposizioni di cui all’art. 16 comma 2 e 9 e l’art. 4 comma 3 lettera b) del d.m. 180/2010 fossero in contrasto con la legge mediazione perché i novellati artt. 17, comma 5 ter e 16 comma 4 bis, prevedono ora una pretesa e asserita gratuità di un primo incontro concluso senza accordo, mentre il decreto ministeriale continuava a prevedere una tariffazione in contrasto.

Una vera  e propria raffica di censure, in larghissima parte però rispedite al mittente, o per usare una terminologia più appropriata, rigettate per inammissibilità ed improcedibilità, ma ora scendiamo nel concreto.

Il Tar dopo un completo esame della normativa comunitaria di riferimento, innanzitutto, rilevava :  “ se è vero che l’esperimento della mediazione è stato ancora una volta configurato quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale in alcune materie, comunque rivisitate rispetto alle precedenti, è altresì vero che il nuovo testo del d.lgs. 28/2010 ha prescritto l’assistenza dell’avvocato” ma soprattutto, sottolineava il TAR, la Corte Costituzionale nella sentenza in cui dichiarava l’illegittimità della norma per mero eccesso di delega, non aveva mai dubitato nelle motivazioni che vi fosse una consentita possibilità degli stati membri di rendere la mediazione obbligatoria, come reso evidente dall’art. 5 comma 2 Direttiva 2008/52/CE, e pertanto essendo stata reinserita nell’ordinamento con legge ordinaria dello stato ( art. 5 comma 1 bis D.lgs. 28/2010)  la mediazione obbligatoria sfugge ora alle censure di incostituzionalità.

Più chiaramente, la condizione di procedibilità così come oggi delineata, per il TAR di Roma è conforme al dettato costituzionale : “è certo che non sono riproducibili nei confronti della “nuova” conciliazione obbligatoria quei rilievi critici cui aveva dato luogo il previgente sistema, poggianti sul combinato disposto di alcune previsioni, poi modificate, che hanno fatto fondatamente dubitare della suscettibilità della “vecchia” mediazione obbligatoria di consentire l’esercizio effettivo del diritto di difesa in giudizio e la possibilità di condurre a una composizione delle controversie in conformità all’alto rango dei principi che caratterizzano la materia nell’ordinamento nazionale vigente[…] Si versa, pertanto, in una ipotesi che, rimarcando il carattere negoziale del procedimento di conciliazione, risulta del tutto estranea all’art. 24 Cost. […] Le questioni di legittimità costituzionale spiegate dai ricorrenti avverso il d. lgs. n. 28 del 2010, come modificato nelle more del giudizio dall’art. 84 del d.l. 21 giugno 2013, n. 79, convertito dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, in riferimento agli artt. 24 e 77 Cost. risultano, per quanto sopra, infondate.

Inoltre, il TAR con richiami sempre a precedenti decisioni del Giudice delle Leggi, rigettava anche la questione circa l’utilizzo della decretazione di urgenza, ritenuta congrua e giustificabile,  e da ultimo riconosceva  invece una parziale fondatezza agli ultimi due motivi di censura proposti.

Secondo il Tar la disposizione prevista all’art.16 comma 2 d.m.  180/2010 ove si quantificano le spese necessarie per l’avvio della mediazione e il comma 9  del medesimo articolo, in base al quale le indennità di mediazione andavano corrisposte prima dell’inizio del primo incontro di mediazione in misura non inferiore alla metà, appaiono oggi contrastare con l’art. 17 comma 5 Ter D.lgs. 28/2010 : “entrambe le disposizioni regolamentari si pongono in contrasto con la gratuità del primo incontro del procedimento di conciliazione, previsto dalla legge, laddove le parti non dichiarino la loro disponibilità ad aderire al tentativo”.

Per inciso, non poca giurisprudenza di merito, nel 2014, ha avuto più volte occasione di ribadire che il tentativo deve essere concreto, e le parti non dovrebbero limitarsi ad esprimere un mero gradimento a procedere nelle trattative negoziali ( a pena di mancato soddisfacimento della condizione di procedibilità) ma su questo punto aspettiamo il consolidarsi degli orientamenti giurisprudenziali non ancora monolitici, comunque in contrasto con la visione larvatamente accennata da questa sentenza, di una mera “disponibilità” a mediare.

Sull’art. 4 comma 3 lettera b decreto ministeriale, che prevede la specifica formazione dei mediatori, ad avviso del TAR, lo stesso si pone in contrasto con le nuove disposizioni di legge sull’avvocato mediatore di diritto, perché non applicabile agli avvocati iscritti all’albo ( oggi per l’appunto mediatori di diritto), che godono di percorsi formativi diversamente disciplinati e difformi.

Per quanto sopra i commi sono stati dichiarati tutti annullabili e non fanno più parte delle norme regolatrici dell’ordinamento.

Ebbene, nello scusarmi per la lunga disamina tecnica, che ho cercato volutamente di limitare al  minimo necessario, cosa succede in concreto da oggi alla mediazione civile.

Innanzitutto la mediazione cosiddetta obbligatoria supera il vaglio delle censure di incostituzionalità, così come sono per il TAR Lazio costituzionali le sanzioni previste all’art. 13 legge mediazione, e dunque dovremmo aver finalmente superato tutti quei dubbi, a volte strumentali, sollevati negli anni sulla legittimità costituzionale dell’istituto: la condizione di procedibilità è conforme a costituzione, la via italiana alla mediazione è costituzionale.

Le tariffe di mediazione – nei limiti imposti dalla tabella A allegata al decreto ministeriale – fino a nuova eventuale decretazione, sono ora sostanzialmente libere e aperte al mercato, non vi è più obbligo di chiedere parte dell’indennità prima dell’inizio della mediazione,  non vi è più obbligo di limitare a 40 ovvero 80 euro il contributo per le spese vive di avvio ( spese per comunicazioni alle parti chiamate e quant’altro),  non vi è più l’obbligo di accettare sempre e comunque le mediazioni in materia obbligatoria.

Si torna in un certo senso alla flessibilità e alla primazia del regolamento degli organismi, i quali, a seconda delle proprie valutazioni imprenditoriali, potranno offrire tariffe sulle spese di avvio in differenti soluzioni, fornendo così un diverso ventaglio di proposte alle parti, in regime di concorrenza, seppur “concorrenza claudicante” per la presenza di Organismi Pubblici che in molti casi godono di sedi gratuite e altri benefici, che i privati non hanno.

Leggere la sentenza in un’ottica di dichiarata gratuità assoluta della prestazione professionale, e con pretesa di accollo delle spese anche vive all’organismo, sarebbe non solo anticostituzionale, ma antistorico e contro ogni logica, il servizio erogato da mediatori ed organismi deve essere qualitativamente elevato – così lo vuole la legge e  così’ lo chiedono gli utenti – quindi la qualità, in ogni ambito, ha sempre  un costo, seppur ragionevole, da sopportare.

L’assunto vale a fortiori, se disquisiamo di rimborso di spese materiali per far decollare la mediazione richiesta dalla parte, salvo legislazione chiara ed inequivoca sul punto – che oggi non abbiamo – non vi è un solo motivo logico perché gli Organismi debbano pagare delle spese per un servizio richiesto dalle parti.

Rimane l’effettivo vuoto sulla formazione perché in teoria, oggi, non vi è più l’obbligo di formazione per tutti i mediatori, nonché l’obbligo di tirocinio e aggiornamento, ma, pur auspicando un immediato intervento sul tema, la mediazione c’è e rimane così come delineata dal legislatore, con tutte le sue luci ed ombre, e con tutti i suoi vantaggi.

Agli organismi di mediazione, a mio sommesso avviso, spetta ora il compito di accogliere le sfide del mercato dei servizi legali, tralasciando finalmente quella visione messianica che spesso ho letto e sentito in molti convegni, per una visione più concreta.

Gli ODM sostengono costi molto elevati, il mediatore ne sostiene minori ma ne sostiene, il servizio, peraltro socialmente utile, è un servizio a pagamento, così come paga chiunque non sia in grado di risolvere da solo un proprio conflitto e si rivolge alla giustizia ordinaria, le capacità imprenditoriali degli ODM, la libertà di impresa, la diffusione dell’istituto farà il resto.

Carlo Recchia

(Avvocato)

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