Mediazione e Certificazione Organismi

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Da Diritto24 de Il SOle 24 Ore

Mediazione: la certificazione delle competenze degli organismi e dei mediatori

Gabriele Colla, Avvocato, Gian Piero Turchi, Michele Romanelli | 31 luglio 2014

 

Negli anni trascorsi dalla Direttiva 52 del 2008 (Direttiva 2008/52/ce del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale) e dalla Legge 69 del 2009 (Legge con cui il legislatore italiano, nella prospettiva di implementare la normativa comunitaria, ha fornito delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali) , le aspettative legate all’applicazione della mediazione (in ambito di conciliazione civile e commerciale) sono state costantemente enunciate. Questo attraverso un riferimento alla qualità e declinate in collegamento alla formazione così come alla necessità di un monitoraggio costante da parte delle istituzioni competenti. Secondo la sopra citata direttiva 52/2008, ad esempio, affinché la Mediazione possa perseguire i propri obiettivi, “gli Stati membri dovrebbero incoraggiare, in qualsiasi modo essi ritengano appropriato, la formazione dei mediatori e l’introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualità in merito alla fornitura dei servizi di mediazione”. Ancora la medesima Direttiva richiamava i “criteri minimi di qualità” che gli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie dovrebbero offrire agli utenti, secondo la Raccomandazione della Commissione sulla protezione dei consumatori. Così come pure all’adozione di codici di condotta, quali condizioni per uniformare i criteri guida dell’esercizio della mediazione, nonché per garantire standard qualitativi adeguati e minimi. Ancora la Direttiva 52/2008, all’articolo 4 (dedicato appunto alla qualità della mediazione), promuove negli stati membri l’introduzione di misure volte a favorire l’elaborazione di codici volontari di condotta da parte dei mediatori e delle organizzazioni che forniscono servizi di mediazione nonché l’ottemperanza ai medesimi, così come qualunque altro efficace meccanismo di controllo della qualità riguardante la fornitura di servizi di mediazione.

Nell’ordinamento italiano, il momento in cui con maggiore intensità il discorso sulla qualità ha cercato di tradursi in criteri guida, è coinciso con la consultazione pubblica promossa dal Ministero della Giustizia, volta all’elaborazione di un Libro Verde per la predisposizione del manuale di qualità degli organismi di mediazione. Tuttavia, le enunciazioni di principio sulla qualità, da un lato hanno proceduto parallelamente e senza diretta incidenza rispetto all’introduzione normativa della mediazione; dall’altro, non hanno mai raggiunto un livello di specificità tale da consentire di trasformare l’enunciazione dell’esigenza di qualità in precise e rigorose indicazioni operative.
Difatti, nonostante le richieste del legislatore (non solo italiano) circa la promozione della mediazione di qualità, l’istituto si presenta oggi ancora “debole”. Sia per ciò che riguarda i risultati raggiunti, sia per la spinta a configurare e utilizzare criteri e riferimenti univoci. Per esempio, le statistiche relative ai primi anni di applicazione della normativa italiana, nonostante il ricorso intermittente all’obbligatorietà, rendono conto di risultati inferiori alle aspettative. Cioè, dopo un trend positivo nei primi mesi dall’entrata in vigore del D.Lgs 28/2010, con la sentenza della Corte Costituzionale il processo di diffusione si è interrotto bruscamente, riprendendo con un sostanziale ridimensionamento – e molto a fatica – dopo il Decreto del Fare. Secondo le statistiche del Ministero della Giustizia, il trend di crescita nel numero di nuove attivazioni era stato piuttosto rilevante fino al secondo trimestre del 2012, con un picco nel mese di Luglio 2012 e si era interrotto bruscamente a fronte della sentenza 272/2012, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità, per eccesso di delega, del D.Lgs 28/2010.
A quanto prima si aggiunga poi che l’analisi del quadro italiano ed europeo restituisce un’immagine della mediazione come strumento indefinito, fondato su presupposti teorico-metodologici frammentati in singoli ambiti materiali e – conseguentemente – privo di una identità propria che lo distingua rispetto ad altri strumenti e servizi. Pertanto – nell’attuale stato dell’arte – l’esercizio della mediazione si configura nell’uso di cosiddette “tecniche e pratiche” affidate alle capacità e doti personali (o caratteriali) del singolo professionista; quindi prive di indicazioni scientificamente fondate in ordine allo statuto teorico della mediazione e al ruolo del mediatore. Allo stesso modo, risulta ancora carente una conoscenza di base in termini di analisi scientifica dei programmi e dei singoli percorsi di mediazione, in grado di andare oltre il dato meramente quantitativo (ad esempio il numero di procedimenti gestiti o il numero di accordi raggiunti) e attestarsi sul piano conoscitivo adeguato all’attività di “gestione dei conflitti”. Da qui la considerazione che: la mancanza di un supporto conoscitivo che fornisca rigore scientifico alle modalità operative della mediazione, rappresenta un rilevante ostacolo alla legittimazione della mediazione nei confronti e delle istituzioni, e della Comunità (in generale). Un ostacolo che, inoltre, rinforza ulteriormente le “barriere di ingresso” che la mediazione deve superare per imporsi nel mercato dei servizi – latu sensu – legali.
Ciononostante, dobbiamo ricordare che la mediazione – per le sue peculiarità e caratteristiche epistemiche – potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nell’architettura dell’amministrazione della Giustizia e, più in generale, nella gestione delle Politiche Pubbliche. La mediazione, infatti, è quel particolare strumento in grado di promuovere il processo di gestione di assetti interattivi, e, in quanto tale, avrebbe spazi di applicazione (potenzialmente) illimitati. Sul piano dell’Amministrazione della Giustizia, la mediazione promuove occasioni di assunzione diretta di responsabilità delle parti nella gestione della controversia. E questo non va solo nella direzione di abbreviare e alleggerire economicamente il percorso di soluzione delle controversie, ma soprattutto consente di generare soluzioni che rispondano (in modo più adeguato) alle esigenze delle parti (che spesso rischiano di non essere prese in considerazione da modalità di soluzione di tipo aggiudicativo). Per di più, come strumento delle Politiche Pubbliche, l’applicazione della mediazione ha ricadute in termini di incremento della coesione sociale. Questo in quanto la costruzione partecipata della modalità di gestione della controversia, aggira l’aspetto critico per cui la soluzione si configuri come l’imposizione di soluzioni prestabilite.
Ora, la constatazione che – nonostante l’urgenza di strumenti operativi che consentano la promozione di questi possibili sbocchi operativi – la mediazione faccia fatica ad imporsi all’attenzione della Comunità (Istituzioni comprese), evidenzia l’opportunità di compiere uno sforzo maggiore di quello sin qui prodotto. Per esempio, quello di promuovere la qualità della mediazione in quanto strumento metodologicamente fondato. Una sorta di “passaggio obbligato” – quello della promozione della mediazione di qualità – in quanto, costantemente, anche all’interno dei processi motivi del legislatore nazionale e sovranazionale, il riferimento ad una formazione specifica e ad un bagaglio di competenze adeguato viene concepito come una condizione sine qua non, per l’efficacia e l’efficienza. Dunque, per la praticabilità stessa della mediazione come strumento alternativo a quelli tradizionali, la domanda che si pone è: quale bagaglio conoscitivo può consentire al mediatore (e alla mediazione) di offrire un servizio di qualità nel suo operare in interazione con le parti di una controversia o di un conflitto?
In questa prospettiva, l’esigenza è di costruire un sistema di valutazione della qualità della mediazione che si focalizzi sulle modalità di gestione, più che sui contenuti, e – dunque – che venga condotta in una prospettiva processuale (e come tale suscettibile di essere svolta in modo trasversale per qualsiasi ambito di intervento).
Su questa linea, in primis si tratta di distinguere la prestazione offerta dal mediatore all’interno di un procedimento – e che si riconduce a un preciso bagaglio di competenze (ruolo del mediatore) – da quanto è necessario per organizzare e gestire il servizio (organismo/organizzazione in cui quel ruolo è integrato). In secundis, si deve fare costante riferimento ai criteri (operativi) di efficienza e dei efficacia, in quanto elementi che ricoprono un ruolo nel processo di valutazione della qualità, ma che non coincidono con essa. L’Efficienza si riferisce alle modalità con cui un obiettivo viene perseguito, e a quanto le strategie operative stanno generando in vista del raggiungimento dell’obiettivo stesso. La valutazione dell’efficienza si svolge in itinere ed ha dunque ad oggetto i processi innescati dalle strategie operative, e rende possibile l’adeguamento delle strategie nel corso della gestione. L’Efficacia, invece, si riferisce al grado di raggiungimento dell’obiettivo a fronte delle strategie messe in campo. La valutazione dell’efficacia consente di attestare se e quanto si è raggiunto in termini di risultato rispetto all’obiettivo prefissato. In questo quadro – dunque – la costruzione di un sistema di certificazione di qualità può essere condotta analizzando l’offerta del servizio di mediazione, da un lato per ciò che attiene all’organizzazione – propria ad esempio dell’organismo o centro di mediazione – inteso appunto come organizzazione in atto di mezzi e persone in vista dell’offerta del servizio di mediazione; dall’altro, per ciò che attiene al ruolo del mediatore, e allo specifico profilo di competenze di quest’ultimo. Stiamo dicendo che l’attività di mediazione e il suo specifico bagaglio di competenze, che si sostanziano nella prestazione del mediatore in occasione dello svolgimento degli incontri con le parti, non esauriscano l’offerta del servizio di mediazione complessivamente inteso. Infatti, il singolo procedimento richiede, prima, durante e dopo (non solo, e non tanto, in senso meramente cronologico), l’attivazione di “altri” processi, come pure la promozione e l’esercizio di competenze ulteriori e specifiche. Va da sé che le implicazioni delle scelte operative che il singolo operatore e l’organismo fanno per gestire questi processi configurino come il servizio di mediazione viene offerto, e quindi, entrano in gioco nella possibilità di valutare la qualità servizio.
Nella prospettiva che qui si propone, dunque, lo stesso concetto di qualità assume una configurazione processuale e multidimensionale, che coinvolge tutte le interazioni che si generano tra parti, mediatore e organismo, e può essere valutata in riferimento alle modalità che l’organizzazione (intesa come interazione mediatore-organismo di mediazione) ha predisposto per gestire le variabili e interazioni che si generano nel momento in cui il servizio è offerto sul mercato. Costruita a partire da questa proposta, la valutazione della qualità potrebbe collocarsi adeguatamente all’interno del paradigma di riferimento della mediazione, e andare a porsi come valutazione e misurazione del quantum l’organismo/organizzazione e il mediatore riescono a promuovere, nel proprio operare, una svolta dal paradigma sanzionatorio a quello riparativo.

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