Viett risponde a De Tilla

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Scontro tra Maurizio De Tilla e Michele Vietti sul ripristino della mediazione obbligatoria

L’avv. Maurizio De Tilla in qualità di Presidente dell’Associazione nazionale avvocati italiani – con una lettera aperta – aveva criticato le recenti posizioni del vicepresidente del CSM Michele Vietti a favire del riprristino della mediazione obbligatoria. A breve giro di posta, Michele Vietti ha replicato duramente a De Tilla ricordando statistiche e best practices europee. Di seguito le due lettere.

Lettera di De Tilla a Vietti

Illustre On. Avv. Michele Vietti,

ricordiamo sempre le Sue grandi battaglie, come Sottosegretario di Stato, per la crescita delle professioni nel segno di una concezione identitaria e non mercantile.

Ricordiamo, altresì, quante volte Ella – come parlamentare – è stato vicino all’Avvocatura per ribadirne l’autonomia e tutelarne la dignità.

Prendiamo, inoltre, atto del Suo autorevole perdurante impegno, come Vice Presidente del CSM, per assicurare l’indipendenza della magistratura, garanzia di terzietà e di prestigio del potere giudiziario.

In tutti i Suoi alti ruoli ha svolto e svolge un lavoro prezioso per il Paese e per la Giustizia.

Non comprendiamo, quindi, la Sua ostinazione a portare avanti un’iniziativa improvvida, qual è la obbligatorietà della mediaconciliazione, che è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale e che non potrà essere riproposta per le innumerevoli ragioni di illegittimità che sono state illustrate nelle ordinanze di rimessione alla Consulta riportate per esteso nella sentenza di incostituzionalità.

È sufficiente leggere nella parte narrativa la motivazione della decisione della Corte Costituzionale per prendere consapevolezza che la normativa sulla obbligatorietà della mediaconciliazione – oltre che per il vizio macroscopico di eccesso di delega – sarebbe stata inficiata da altre ben più gravi ragioni: la grave limitazione all’accesso alla giustizia, la non gratuità della procedura, gli effetti negativi nel successivo giudizio, che comporta la introduzione di un vero e proprio quarto grado di giudizio, la lunga durata del tentativo, l’eccessiva estensione delle materie, la inidoneità dei mediatori e, infine, l’evidente intento di lucro che ha fatto in modo che si costituissero più di mille Camere di conciliazione private, autorizzate in massima parte con il silenzio-assenso.

Illustre On. Vietti,

ci permettiamo di invitarLa a prendere atto di ciò e a riflettere bene sul perché in tutti i Paesi europei non esiste la obbligatorietà della media conciliazione e, dappertutto, si va piuttosto ad incentivare la conciliazione endoprocessuale.

Sarebbe poco dignitoso aprire un nuovo fronte con una rinnovata contrapposizione tra i cittadini e gli avvocati, da una parte, e i poteri economici forti, dall’altra, che puntano alla mediaconciliazione obbligatoria.

La celerità della giustizia può garantirsi con diversi strumenti: il processo telematico, la spesa razionale delle risorse destinate alla giustizia, l’incremento dei giudici togati, la loro produttività, la introduzione di prassi virtuose con il metodo Barbuto, lo smaltimento dell’arretrato affidato a giudici laici.

Siamo sicuri che Ella saprà ben comprendere il significato di questa nostra lettera aperta rivolta a Lei per il ruolo che riveste come Vice Presidente del C.S.M.

Nel segno della più sincera stima.

Maurizio de Tilla – Presidente A.N.A.I.

 

Replica di Vietti a De Tilla
Lettera aperta all‘Avvocatura

Roma 21.05.2013

Caro Maurizio,

sono  stato  accusato   di  promuovere  un’iniziativa   ”improvvida”   quale  sarebbe l’obbligatorietà della mediazione.

Vorrei innanzitutto chiarire che ho sempre ritenuto lo strumento della mediazione utile per deflazionare l’ormai insostenibile carico di lavoro che grava sui nostri tribunali civili.

Desidero però rassicurare che la mia non è affatto una crociata in favore della mediazione e contro il ricorso alla giurisdizione.

Tutto al contrario, la mia preoccupazione è proprio quella di ripristinare le condizioni minime  perché  la  giurisdizione  possa  tornare  a  garantire  ai  cittadini risposte tempestive ed efficienti.

E  la  mediazione   mi  sembra  un  valido  strumento   per  garantire  un  filtro all’accesso indiscriminato  alla giustizia professionale, al pari peraltro di istituti quali l’arbitrato e la conciliazione, che da molti anni affiancano il sistema contenzioso.

E’ bene pero’ riflettere sulla circostanza che se fino ad oggi i sistemi alternativi  di risoluzione delle controversie non hanno funzionato, la spiegazione va rintracciata a prescindere dalla qualità del singolo strumento alternativo.

Il problema è culturale, nel senso che dipende in larga parte dal fatto che il cittadino italiano  pretende  che  la  propria  controversia,  indipendentemente dalla  tipologia  e dalla  sua obiettiva  rilevanza,  sia giudicata  da magistrati  togati,  sino al giudizio  di cassazione.

Questa mi sembra la vera ragione del sostanziale fallimento dei sistemi extragiudiziari   di  risoluzione   delle  controversie   civili,  tra  cui  mi  permetto   di annoverare la conciliazione giudiziale, che ha percentuali di successo veramente infinitesimali, come è  ben noto a tutti coloro che quotidianamente frequentano le aule giudiziarie.

Quindi la previsione  della obbligatorietà  del preventivo  esperimento  di forme di risoluzione alternativa delle controversie si pone non già come affermazione di una prava  volontà di privazione  di diritti costituzionalmente garantiti, ma al contrario come    un  tentativo  di  lettura  costituzionalmente orientata  ed  attuale  del canone dell’art. 24 della Costituzione: il diritto ad agire in giudizio  non postula infatti che prima di rivolgersi ai giudici professionali non si debba tentare di risolvere altrimenti la lite.

E la media conciliazione, sin quando ha operato, mi risulta aver dato risultati incoraggianti, anche sul piano della partecipazione degli avvocati in un ruolo stragiudiziale che in altre parti del mondo rappresenta per loro una parte rilevante dell’attività professionale.

E non è vero che l’Italia sarebbe l’unico Paese ad avere forme obbligatorie di  mediazione.

In Austria  esiste la conciliazione  preventiva obbligatoria  quando si tratti di una controversia in materia locatizia, di proprietà immobiliare e nelle liti di vicinato.

In Belgio  la  mediazione  è  obbligatoria  per  le  industrie  nei  seguenti  settori: telecomunicazioni, assicurazioni, poste, diritti dell’infanzia, rapporti con il governo, rapporto  con  le  istituzioni  dell’Unione  Europea,  banche,  energia,  collocamento privato, pensioni, prodotti finanziari.

In Danimarca la conciliazione è obbligatoria per le imprese nel settore del turismo in merito ai viaggi e all’alloggiamento e nel settore dei mutui ipotecari.

In  Estonia  l’arbitrato  è  obbligatorio  in materia di  assicurazione  per le  imprese, mentre è volontaria la conciliazione.

In Francia  il procedimento informativo sulla conciliazione preventiva è obbligatorio mentre il procedimento deve essere espletato in caso di divorzio e nei procedimenti davanti al Conseil des prud’hommes, in materia di contratti di locazione abitativi, per la vendita diretta ed in tema di pubblicità in relazione alla partecipazione delle industrie.

In Germania l’obbligatorietà  è prevista in caso di immatricolazione dei veicoli a motori e per i reclami davanti alla Banca centrale tedesca. Alcuni Land hanno inserito l’obbligatorietà per altre materie quali le controversie patrimoniali di valore non superiore a 750 €, nell’ambito del diritto di vicinato ed in materia di diffamazione.

In Irlanda è  necessaria  la  partecipazione  a  metodi  ADR  per  il  settore  della pubblicità, delle pensioni, della vendita diretta e dei servizi finanziari.

In Inghilterra vi è attualmente una forte spinta verso la mediazione obbligatoria. In Svezia la mediazione è obbligatoria per le controversie che ineriscono la locazione ad uso commerciale.

Credo quindi che si debba ragionevolmente tornare a parlare subito di ADR, senza pregiudizi e in un’ottica costruttiva.

Ma con uno spirito necessariamente proiettato verso una radicale riforma del nostro sistema giudiziario, piuttosto che ancorato a forme di conservazione che, di fronte allo stallo attuale, non hanno più ragione di essere.

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