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MEDIAZIONE CIVILE E COMMERCIALE

Solo l’autonomia scientifico-disciplinare apre ad una mediazione di qualità

Marco Marinaro

La recente riforma della mediazione delle liti civili e commerciali ha riaperto il dibattito su una serie di criticità, alcune delle quali – le più rilevanti – attengono alla qualità della mediazione e, quindi, alla professionalità dei mediatori.

L’assetto normativo

L’attuale assetto normativo costituito dal Dlgs 28/2010 e dal Dm 180/2010 ha subìto in questi anni una serie di evoluzioni che hanno inciso profondamente sulla rotta inizialmente segnata dal legislatore. Ciò è accaduto non soltanto con la novella del 2013 dettata con la legge 98/2013 (di conversione del Dl 68/2013), ma altresì con la modifica del regolamento attuativo adottata con Dm 145/2011 che ha inciso in maniera rilevante sui criteri di designazione del mediatore ridisegnandone indirettamente il profilo professionale anche in dissonanza con la normativa primaria.

Non è questa la sede per approfondire questi aspetti, ma è chiaro come il legislatore a volte in maniera contraddittoria ed altre anche senza sufficiente lungimiranza, abbia tentato di introdurre regole che potessero innalzare il livello qualitativo della mediazione modificando tali criteri di designazione.

La sfida della formazione
Ma la vera sfida per la qualità della mediazione attiene alla formazione dei mediatori, poiché è chiaro che la soluzione del problema non può non essere a monte del sistema.
Invero proprio la disciplina che attiene alla formazione è rimasta invariata essendo intervenute soltanto indicazioni interpretative relative ai requisiti che gli aspiranti formatori devono possedere per poter essere accreditati.

Per cui l’intero sistema della formazione, costruito mediante un percorso di accreditamento ministeriale di enti (preesistenti o creati “ad hoc”) che si regge su un gruppo di formatori teorici e/o pratici con un responsabile scientifico al quale sono affidate ex lege funzioni assolutamente marginali, è rimasto del tutto immutato. Come immutato è rimasto il percorso per la formazione di base e per l’aggiornamento biennale (quest’ultimo sia per i mediatori sia per i formatori) fatta eccezione per l’introduzione di un tirocinio permanente per i mediatori (in quanto inserito tra gli obblighi di aggiornamento e non tra quelli per l’accesso alla professione).

Un percorso sempre più giuridico
Una professione, quella del mediatore di controversie, che appare disegnata dal legislatore quale attività part-time di professionisti dediti ad altre professioni principalmente giuridiche o, meglio ancora, forensi. Al riguardo la creazione dell’avvocato “mediatore di diritto” e l’interpretazione ministeriale che devolve di fatto la formazione e l’aggiornamento di tale tipologia di mediatori alle direttive del Cnf, sembrano poi consolidare un percorso formativo di stampo sempre più giuridico che inevitabilmente condizionerà le successive evoluzioni nell’utilizzo della mediazione in ambito civile.

In arrivo nuove regole

Queste riflessioni peraltro precedono la ormai imminente pubblicazione della nuova modifica al regolamento ministeriale di cui al Dm 180/2010. Il nuovo decreto interministeriale che è attualmente al Consiglio di Stato per il prescritto parere, secondo quanto annunciato dal Ministro Cancellieri nella relazione sull’amministrazione della giustizia resa alle Camere il 21 gennaio 2014, dovrebbe contenere oltre al previsto adeguamento per le modifiche apportate con la riforma del 2013 alla normativa primaria, anche interventi sui requisiti richiesti sia per gli organismi sia per i formatori, nonché sui requisiti di terzietà e indipendenza dell’organismo di mediazione.

Ciò significa che a breve occorrerà confrontarsi con nuove regole – sicuramente più selettive, e ciò costituisce di per sé una buona notizia – per il reclutamento dei formatori e, probabilmente, anche per gli enti di formazione. Quindi un sistema nel quale i percorsi resteranno immutati, mentre i requisiti dei formatori subiranno modifiche più o meno sensibili sicuramente improntate alla ricerca di un miglioramento qualitativo della formazione che ha costituito per molti versi l’aspetto meno indagato.

Ancora non sono note quindi le innovazioni in fase di finale gestazione da parte del Ministero della giustizia, ciò che è certo è che le stesse avranno per loro natura una prospettiva miope. E la prospettiva appare miope in quanto limitarsi a modificare i requisiti formali di accreditamento dei formatori o degli enti di formazione, richiedendo altre attività, siano esse di tipo editoriale o piuttosto esperienziale, sarà sempre e persistentemente una soluzione deficitaria, in quanto la fissazione dei requisiti costituisce un posterius e non un prius nella individuazione del profilo dei formatori.

La Cenerentola di altre discipline
Al fine di stabilire chi possiede i requisiti per poter formare un mediatore occorrerà stabilire quindi chi ha i requisiti per formare alla mediazione. Ma chi stabilisce queste regole e soprattutto qual è la materia dell’insegnamento?
Ad oggi la mediazione dei conflitti in Italia costituisce la Cenerentola di altre discipline (che peraltro spesso mal tollerano anche questa intrusione) in quanto la sua trasversalità ne consente in qualche modo l’affiancamento fino ad una sostanziale assimilazione a settori giuridici (in particolare, dal diritto processuale civile al diritto civile) ovvero a quelli della psicologia o della sociologia, ma anche alla filosofia senza trascurare l’economia. Che la mediazione viva e sia partecipe di molteplici anime costituisce la peculiarità della materia, evidenziandone chiaramente la sua poliedricità, ma ciò non può significare continuare a forzarne la sua natura entro schemi concettuali e percorsi ordinamentali che ne mortificano l’autonomia scientifica e disciplinare.

L’autonomia scientifico-disciplinare

Questo è il punto chiave di una vera svolta per la mediazione dei conflitti e per la costruzione di percorsi formativi che possano rispondere a criteri adeguati ed autonomi. L’autonomia scientifico-disciplinare della mediazione costituisce dunque un prius per l’avvio della costruzione di un sistema di qualità della formazione e poi della mediazione.

Sino a quando la mediazione non assumerà una sua autonomia scientifico-disciplinare quale settore autonomo tra le categorie individuate dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, vivrà una situazione di disagio culturale, essendo destinata ad una condizione di perenne vassallaggio che la condurrà volta a volta ad assumere le diverse sembianze determinate dal feudatario di turno.

Senza il riconoscimento della autonomia scientifico-disciplinare ogni sforzo per affermare la qualità della mediazione e della formazione alla mediazione resta così destinato ad un sostanziale insuccesso. Soltanto quando la mediazione di conflitti assumerà dignità di disciplina autonoma sarà possibile conseguentemente selezionare i formatori e attraverso adeguati percorsi creare una classe di professionisti che, nelle diverse aree della mediazione, rispondano agli elevati standard qualitativi da tutti auspicati.

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