I tempi lunghi della giustizia: sette anni per una sentenza civile
Una conferma della necessità di rivedere le norme vigenti, come peraltro avevano chiesto tutti i presidenti delle Corti d’appello, il primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo e il vicepresidente del Csm Michele Vietti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2012. Una richiesta che probabilmente si ripeterà anche quest’anno, il 25 gennaio in Cassazione e il 26 nelle Corti d’appello.
Chi si aspettava una svolta rimarrà dunque deluso dalle statistiche ministeriali. Ma sarebbe sbagliato giudicare il governo “tecnico” della giustizia – durato un anno – sulla base di questi numeri, non foss’altro perché gli interventi – piccoli o grandi – degli ultimi 12 mesi daranno i loro frutti – se ce ne saranno – nel medio-lungo periodo e saranno quindi raccolti dai prossimi governi, sempre che proseguano sulla strada intrapresa.
Così sarà per la riforma della geografia giudiziaria, ancora in fase di attuazione (il 31 dicembre il ministero ha trasmesso al Csm, per il parere, la proposta di rideterminazione delle piante organiche di tutti gli uffici di primo grado) e destinata a diventare operativa tra un anno circa (sempre che non intervengano modifiche). Da qui dovrebbe arrivare un contributo forte all’efficienza del sistema, in termini di professionalità dei giudici e di durata dei processi.
Anche nel civile, dove più si è seminato negli ultimi anni, i frutti devono ancora maturare. Quelli della mediazione (non più obbligatoria da dicembre 2012), che già ha avuto un’incidenza deflattiva del 10% sulle sopravvenienze, scese di 70mila cause rispetto alle 430mila dell’anno prima. E quelli degli aumenti del contributo unificato sulle impugnazioni e del filtro in appello, ancora troppo “recenti” per misurarne il peso.
I tempi della giustizia restano però ancora troppo lunghi. Nel civile e nel penale, dove si è seminato meno. La riforma del sistema della prescrizione non è stata fatta. Soltanto di recente il ministro della Giustizia Paola Severino ha insediato una commissione con il compito di studiare modifiche alle norme vigenti, ma a questo punto saranno lasciate in eredità al nuovo governo. Idem per la depenalizzazione dei reati minori. Intanto il tempo continua a bruciare procedimenti: la legislazione italiana è un unicum in Europa dove, una volta scoperto il reato, i termini di prescrizione si fermano o ricominciano a decorrere con una serie di interruzioni legate all’attività processuale. È vero che negli ultimi 5 anni si registra un calo progressivo (e le analisi sulle cause sono le più varie) ma il numero delle prescrizioni resta elevatissimo.
Quanto basta per innescare un meccanismo perverso sulla durata dei processi: la prospettiva di guadagnare la prescrizione è una delle cause di allungamento dei tempi: incentiva le impugnazioni (anche infondate o inammissibili) e disincentiva il ricorso ai riti alternativi. Inoltre, fa riflettere il dato sulle archiviazioni dichiarate dal Gip a causa della prescrizione: nonostante anche qui vi sia una progressiva flessione, i due terzi delle prescrizioni globali si consumano nella fase delle indagini e poi in Tribunale. E ciò riguarda i reati di grave allarme sociale, che non vengono scoperti in “flagranza” o a seguito di denuncia, ma solo dopo accertamenti lunghi e complessi. Come i reati contro la pubblica amministrazione, sulla cui prescrizione è intervenuta (ma parzialmente e solo per alcuni) la legge anticorruzione.