Tribunale di Verona

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Spese processuali
Spese di lite: paga la parte vincitrice che rifiuta la proposta conciliativa
La liquidazione delle spese deve avvenire mediante criterio unitario, con applicazione delle tariffe o dei parametri vigenti al momento della liquidazione. L’ingiustificato rifiuto di una proposta conciliativa legittima la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese di lite della parte soccombente per il periodo successivo alla formulazione della proposta. Tale condanna può cumularsi con una pronuncia di compensazione delle spese per il periodo anteriore.

Il tema di questa sentenza di merito è particolarmente interessante, trattandosi di una delle prime applicazioni giurisprudenziali dell’art. 91 c.p.c. nella parte in cui consente al giudice, in deroga al principio di soccombenza, di condannare la parte vincitrice a rifondere le spese alla parte soccombente in caso di rifiuto ingiustificato di proposta conciliativa per la fase successiva alla proposta stessa.

Il fatto

La vicenda in esame al tribunale di Verona risulta alquanto particolare anche in fatto. Si tratta, infatti, di un’azione promossa da un avvocato nei confronti di un collega per ottenere il pagamento del compenso della propria attività professionale prestata in favore di quest’ultimo nell’ambito di un procedimento disciplinare svoltosi presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Verona.

La domanda

La parte attrice chiede la condanna della parte convenuta al pagamento di un importo complessivo di € 8.077,71 a titolo di compensi professionali; compensi quantificati con l’applicazione delle tariffe professionali antecedenti a quelle del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, posto che l’attività professionale si era svolta a partire dal 2003 sino al 2004.

La decisione del Tribunale

La domanda proposta dall’attore viene accolta solo in parte dal Tribunale di primo grado. Il giudice di merito, infatti, accerta l’esistenza del diritto della parte attrice ad ottenere il pagamento delle proprie competenze, rilevando in particolare l’infondatezza dell’eccezione di presunzione presuntiva sulla base del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui tale eccezione implica il riconoscimento dell’esistenza del debito e, quindi, è intrinsecamente contraddittoria e incompatibile con la difesa di chi afferma di aver estinto l’obbligazione versando un importo inferiore a quello richiesto. Per quanto riguarda la liquidazione del compenso dovuto, tuttavia, il Tribunale liquida i compensi dovuti in misura molto inferiore rispetto alla richiesta e, conseguentemente, ripartisce le spese di lite in considerazione sia di tale accoglimento parziale sia del rifiuto di una proposta conciliativa in corso di causa.

I profili di maggiore interesse nella pronuncia qui analizzata riguardano proprio questi ultimi profili.

In primo luogo, è interessante, anche se non del tutto condivisibile, l’affermazione del Tribunale secondo cui, in caso di liquidazione unitaria del compenso professionale del legale, devono essere applicate le tariffe o i parametri in vigore al momento della liquidazione stessa. Tale principio, affermato recentemente dalla Corte di Cassazione con riferimento al problema dell’applicazione dei nuovi parametri di liquidazione delle spese (con le sentenze richiamate nella stessa sentenza qui commentata), non pare potersi applicare nel caso di specie. In effetti, il dictum della Suprema Corte richiamato dal tribunale scaligero riguarda essenzialmente i casi in cui la liquidazione dei compensi avviene all’interno dello stesso processo cui tale liquidazione si riferisce; e segnatamente casi in cui la liquidazione avviene al termine di un processo iniziato sotto il vigore di una tariffa (e segnatamente il D.M. 8 aprile 2004, n. 127) ma conclusosi nella vigenza dei parametri di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140.

Nel caso di specie, invece, la liquidazione non avviene né al termine né all’interno del giudizio cui i compensi richiesti si riferiscono, ma in un diverso giudizio promosso appositamente per ottenerne l’accertamento. Proprio per queste ragioni, la tesi prospettata dal Tribunale non pare condivisibile; nel caso in esame, infatti, il Tribunale avrebbe dovuto applicare le tariffe professionali vigenti al momento dello svolgimento dell’attività professionale e ciò in base alle ordinarie norme in tema di contratti secondo cui la determinazione del compenso, ove non stabilita dalle parti, è effettuata secondo le tariffe vigenti al momento dello svolgimento della prestazione ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 2233 c.c.. Al più il Tribunale avrebbe potuto verificare se fare esclusivamente riferimento al D.M. 8 aprile 2004, n. 127 oppure se applicare, per l’attività svolta prima dell’entrata in vigore di quest’ultimo, le tariffe precedentemente vigenti. Di sicuro, però, non può essere condivisa la scelta di fare applicazione immediata dei nuovi parametri di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140.

Non meno interessante è il capo di pronuncia relativo alla ripartizione delle spese di lite. Si tratta, infatti, di una delle prime applicazioni giurisprudenziali dell’ultima riforma dell’art. 91 c.p.c.. L’art. 45, decimo comma, della l. 69 del 2009, infatti, ha introdotto, al primo comma di tale norma, un nuovo periodo con cui si attribuisce espressa rilevanza alla formulazione (e, in particolare, al rifiuto) di una proposta conciliativa nel corso del giudizio ai fini della decisione in ordine alle spese di lite. In particolare, il giudice, in deroga al principio di soccombenza, ha ora la possibilità di condannare la parte vincitrice al pagamento delle spese della parte soccombente per la fase successiva alla proposta stessa.

Anzitutto, il Tribunale ha rilevato come l’applicazione di tale nuova norma, facendo comunque salva l’applicazione dell’art. 92 c.p.c.. possa comunque cumularsi con una pronuncia di compensazione delle spese di lite per la restante parte del processo (ossia per la fase anteriore della proposta). La decisione sul punto appare certamente corretta e condivisibile, anche se non pare del tutto convincente l’argomentazione utilizzata (ossia il riferimento proprio all’inciso, contenuto nella nuova versione dell’art. 91, che fa comunque salvo il potere del giudizio di applicare l’art. 92 c.p.c.). In effetti, tale inciso sembra unicamente sancire la natura discrezionale della condanna della parte vincitrice al pagamento delle spese in caso di rifiuto di una proposta conciliativa, condanna rimessa quindi al prudente apprezzamento del giudice. In realtà, proprio perché è la stessa norma a riferirsi espressamente solo a una parte del giudizio (ossia alla fase successiva alla formulazione della proposta conciliativa), la possibilità di compensazione per la restante fase del giudizio (cioè anteriormente alla formulazione della proposta) discende dalle ordinarie regole in tema di spese di lite.

Particolarmente interessanti sono anche le argomentazioni con cui il Tribunale di Verona ha ritenuto ingiustificato il rifiuto della proposta conciliativa formulata in corso di causa e conseguentemente ha condannato la parte vincitrice a pagare le spese di lite per la fase successiva alla proposta. In effetti, l’art. 91 parla di rifiuto ingiustificato (e precisamente di rifiuto “senza giustificato motivo”) ma non specifica quali siano i criteri da utilizzare per tale valutazione. In particolare, tale norma non chiarisce se possa ritenersi comunque giustificato il rifiuto di una proposta che, al termine del processo, sia risultata conforme al contenuto della sentenza. Se così non fosse, la connotazione qualitativa del rifiuto (come non giustificato appunto) sarebbe del tutto superflua, posto che la mera corrispondenza dell’esito del processo al contenuto della proposta renderebbe automaticamente ingiustificato il rifiuto della proposta stessa.

Il Tribunale di Verona, per quanto non espressamente, pare invece ammettere la possibilità che, anche in caso di corrispondenza tra esito del processo e contenuto della proposta, il rifiuto della proposta possa comunque ritenersi giustificato in presenza di circostanze (diverse dal mero interesse al contenuto del provvedimento) che, al momento del rifiuto della proposta,  possano dimostrare un perdurante interesse alla prosecuzione del giudizio. Ad esempio, nel caso di specie il Tribunale di Verona si domanda se il rifiuto potesse considerarsi giustificato in considerazione della domanda di cancellazione di frasi offensive proposta ai sensi dell’art. 89 c.p.c. da parte dell’attore.

A tale domanda il giudice di merito dà giustamente risposta negativa (trattandosi di un profilo che, in un corretto bilanciamento degli interessi in gioco, non rende giustificata la prosecuzione del processo); tuttavia, proprio il fatto che il Tribunale si ponga tale problema conferma l’assunto che, in linea quantomeno teorica, il rifiuto della proposta possa ritenersi giustificato anche in caso di corrispondenza tra esito del giudizio e proposta stessa. Certo non è semplice individuare i casi in cui ciò possa avvenire (anche se, ad esempio, potrebbe pensarsi al grado di maggiore o minore incertezza circa l’esito della causa al momento di formulazione della proposta), di sicuro, però, sembra possibile ritenere che, nell’applicazione dell’art. 91 c.p.c., il Giudice debba comunque verificare se il rifiuto della proposta possa ritenersi giustificato sulla base di elementi differenti rispetto al mero interesse per così dire economico nei confronti della pretesa azionata.

Esito della domanda:

Accoglie in parte la domanda. Compensa le spese per la prima parte del giudizio e condanna la parte vincitrice al pagamento delle spese successive al rifiuto ingiustificato di una proposta conciliativa formulata dalla parte convenuta.

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